Con la sentenza n. 245/2019 la Corte costituzionale si è pronunciata affermando che anche l’IVA può essere stralciata con le procedure di sovraindebitamento. La possibilità di stralciare l’IVA per coloro che utilizzano l’accordo di composizione della crisi previsto dalla Legge sul Sovraindebitamento è divenuta quindi effettiva. Se prima il pagamento dell’IVA si poteva solo dilazionare, adesso invece la Corte Costituzionale afferma la possibilità di stralciare, insieme agli altri debiti, anche l’imposta sul valore aggiunto. Questa opportunità, ovviamente, potrà essere sfruttata solo se all’interno di un piano controllato.

L’IVA può essere stralciata con le procedure di sovraindebitamento

I fatti alla base della decisione

La Corte costituzionale era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle disposizioni relative alla possibilità di stralciare anche l’imposta sul valore aggiunto.

Più nel dettaglio, si sottoponeva alla corte un ricorso volto ad ottenere l’ammissione e la successiva omologazione di un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento. Il ricorrente non esercitava attività d’impresa commerciale e il relativo sovraindebitamento derivava principalmente dalla condizione di responsabile solidale per le obbligazioni contratte da una associazione sportiva (nel cui nome ha agito in passato e di cui è stato legale rappresentante), a sua volta non soggetta a procedure concorsuali diverse da quelle disciplinate dalla legge n. 3 del 2012.

Si trattava, inoltre, di un soggetto sovraindebitato, non avendo la possibilità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni alla luce della complessiva situazione che lo riguardava.

Si osserva, inoltre, che tra le poste di credito privilegiate, oggetto della falcidia proposta dal debitore, figurava anche l’obbligo di pagare all’erario somme a titolo di imposta sul valore aggiunto.

Tribunale di Udine

A dare impulso alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 245/2019 è stato, in particolare, il Tribunale di Udine a parere del quale:

  • vi era, in primis, la non manifesta infondatezza della violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, in quanto l’art. 7 comma 1 terzo periodo della L. n. 3/2012, impedendo la falcidia Iva, tratterebbe in modo disuguale soggetti che si trovano in condizioni analoghe, così violando il principio di uguaglianza;
  • vi era inoltre la non manifesta infondatezza della violazione del principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione, in quanto l’art. 7 comma 1 terzo periodo della L. n. 3/2012 – che stabilisce l’inammissibilità dell’accordo o del piano che non preveda il pagamento integrale dell’Iva e delle ritenute operate e non versate – priverebbe la Pubblica Amministrazione del potere di valutare autonomamente ed in concreto se la proposta di composizione della crisi sia in grado di soddisfare la pretesa erariale in misura pari o superiore al ricavato ottenibile dall’alternativa liquidatoria.

Il ragionamento della Corte costituzionale a sostegno della decisione

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 245 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 novembre 2019, ha posto fine alla annosa disparità di trattamento, in termini di falcidia di Iva, tra i soggetti fallibili e i soggetti non fallibili, cioè coloro che sono assoggettati alle procedure di composizione della crisi per sovraindebitamento, anche dette procedure concorsuali minori, introdotte dalla Legge n. 3/2012.

A seguito della pronuncia, quindi, diventa possibile stralciare parte del debito erariale riconducibile ad Iva nell’ambito di una procedura concorsuale minore, alla quale accedono le persone fisiche, i professionisti, le società tra professionisti, i consumatori, i soci illimitatamente responsabili per debiti personali, le ditte individuali e le società commerciali sotto soglia fallimentare.

Anticipazione

In questo modo, la sentenza della Corte Costituzionale n. 245/2019 ha anticipato di fatto la riforma già prevista dal D. Lgs. n. 14/2019, ovvero dal nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza, in vigore dal 15 agosto 2020.

La Corte riconosce, pertanto, che non vi è motivo per trattare diversamente i debitori non fallibili, legittimati ad avvalersi delle procedure di composizione della crisi per sovraindebitamento e i debitori fallibili, legittimati ad avvalersi delle procedure concorsuali maggiori.

In altri termini, negare al debitore sovraindebitato la possibilità di un pagamento parziale dell’IVA, viola la Costituzione, perché la falcidia del credito IVA è consentita ai soggetti fallibili, nelle procedure concorsuali. Quindi, a fronte di situazioni omogenee, i debitori non fallibili e rientranti nelle procedure di sovraindebitamento risulterebbero discriminati rispetto ai debitori fallibili.

La ragione di fondo che giustifica la falcidia dell’Iva, al pari di quella di tutte le altre poste di credito privilegiate e tributarie, non può porsi in termini differenziati. Tale regola deve ritenersi valida, quindi, a prescindere dall’attività esercitata e, quindi, a prescindere dal fatto che sia un’attività imprenditoriale o meno. Non rileva, inoltre, la dimensione dell’attività né la sua incidenza economica.

Le analoghe decisioni degli altri Tribunali

Anche il Tribunale di Torino, con la sentenza del 7 agosto 2017, aveva ritenuto ammissibile la falcidia Iva nel sovraindebitamento. Si riteneva infatti che il gettito Iva, essendo risorsa propria dell’Unione Europea, fosse di competenza dell’ordinamento dell’Unione. Conseguentemente la pubblica amministrazione e i giudici nazionali potessero “disapplicare” la norma vigente nell’ordinamento giuridico italiano consentendo agli stati membri una certa libertà nell’individuazione dei mezzi a disposizione per garantire il gettito.

Il Tribunale di Pistoia, invece, con la sentenza del 26 aprile 2017, aveva ritenuto ammissibile la falcidia Iva nel sovraindebitamento sul presupposto che il divieto di falcidia Iva di cui all’art. 7 comma 1 terzo periodo della L. n. 3/2012 facesse implicitamente salva l’ipotesi che la proposta prevedesse invece un trattamento migliore rispetto a quello consentito dall’alternativa liquidatoria.

Le conclusioni della Corte

La Corte conclude affermando che l’attuale ingiustificata dissonanza di disciplina che sussiste, in parte qua, tra le due procedure, non essendovi motivi che, secondo il canone della ragionevolezza, legittimino il trattamento differenziato cui risultano assoggettati i debitori non fallibili rispetto a quelli che possono accedere al concordato preventivo.

L’attuale assetto normativo, inoltre, crea diseguaglianze ingiustificate a caduta anche con riferimento agli stessi creditori che partecipano all’accordo di composizione della crisi del debitore non fallibile. Se per un verso – come evidenziato anche da questa Corte con la sentenza n. 225 del 2014 – prima di tale assetto, era l’indisponibilità dell’IVA, determinata dalla riconducibilità del tributo alle risorse proprie dell’Unione europea, che finiva per porre questa imposta in una posizione di assoluta intangibilità rispetto a tutte le altre voci di credito privilegiate (le quali, anche se di rango poziore, finivano per risultare posposte a siffatta pretesa tributaria); per altro verso, oggi, a seguito del richiamato orientamento della CGUE, tale situazione di preferenza non ha più ragion d’essere.

In definitiva

In definitiva, la sentenza della Corte costituzionale e la relativa decisione appare assolutamente ragionevole nella misura in cui consente, su un piano pratico, di anticipare la possibilità di falcidia Iva, anche per i soggetti non fallibili, dalla data della pubblicazione stessa della sentenza sino al 15 agosto 2020, allorquando la possibilità di falcidia dell’Iva e delle ritenute operate e non versate diviene comunque pienamente operante anche nelle procedure concorsuali minori ai sensi del nuovo Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza.

Fonti: Corte Costituzionale